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Due Marie per una carovana

Una arriva da Cuba, l’altra dall’Honduras. Vogliono raggiungere il Messico unendosi a migliaia di migranti in questa prima traversata dell’era covid.

Maria Lucila Cruz ha camminato 670 km con le sue Crocs ai piedi e il figlio di quattro anni per mano. Altri migranti che erano con lei l’hanno aiutata con il bambino, e in alcuni tratti dei camionisti le hanno offerto un passaggio. È partita il primo ottobre dalla città honduregna di San Pedro Sula e si trova ora a Tecún Umán, sul confine settentrionale del Guatemala.

Il Messico è davanti a lei, dall’altra parte del fiume Suchiate, ma Maria Lucila Cruz non riuscirà a raggiungerlo. Quando si è avvicinata con un centinaio di persone a la Casa del Migrante, una struttura gestita da religiosi che stava distribuendo panini, la polizia e l’esercito guatemalteco li hanno circondati. Un autobus da cui pende uno striscione che dice “ritorno volontario” sembra avvisare che il rimpatrio in Honduras sarà l’unica via di uscita.

La donna appoggia la schiena al muro e guarda a terra, rassegnata. Prima della pandemia, la vita non era stata troppo dura con lei. “Lavoravo nel Parco Industriale Green Valley, ma quando è arrivato il Covid19 hanno licenziato una parte del personale per evitare assembramenti”, racconta.

Andare negli Stati Uniti le era sembrata l’unica opzione, ma non aveva 7 mila euro per pagare un pollero, come vengono chiamati quelli legati al crimine organizzato che fanno da guida ai migranti facendoli fuggire non solo ai controlli frontalieri, ma anche alla polizia e alla malavita, accusati di numerosi crimini nei loro confronti. Maria Lucila era inoltre preoccupata di potersi contagiare di Covid19 durante il viaggio, e sapeva che dall’inizio della pandemia le frontiere del Guatemala erano chiuse. 

Migranti honduregni aspettano sotto la pioggia la loro espulsione davanti alla Casa del Migrante di Tecún Umán, in Guatemala. Foto: Orsetta Bellani

Non è l’unica ad essere spaventata: secondo alcune organizzazioni locali, da marzo il flusso di migranti centroamericani verso gli Stati Uniti è diminuito di circa il 90%, malgrado la crisi economica causata dalla pandemia in Honduras abbia portato alla perdita di mezzo milione di posti di lavoro.

Ma la paura di Maria Lucila Cruz non era comunque di grado superiore rispetto alla fame. Così, a fine settembre, a un paio di settimane dalla riapertura delle frontiere del Guatemala, ha trovato la soluzione. Su Facebook: qui circolava un invito a formare la prima “carovana migrante” dall’inizio della pandemia. Si trattava di camminare con altre 4 mila persone verso gli Stati Uniti senza doversi nascondere, passando dalla porta principale, con la dignità di chi attraversa una frontiera perché ha diritto di farlo.

La prima “carovana migrante” è stata organizzata nell’ottobre 2018, quando più di 7 mila centroamericani bussarono alle porte del Messico. Non arrivarono passando per i sentieri di montagna più nascosti, ma camminarono in mezzo all’autostrada mostrandosi alle telecamere di tutto il mondo, spingendo passeggini e sedie a rotelle. Quella volta, i migranti scoprirono che la visibilità poteva essere il loro punto di forza.

Si ammassarono sul ponte internazionale che divide Tecún Umán dalla città messicana di Tapachula e, tra spintoni e gas lacrimogeni, ruppero la resistenza delle autorità migratorie. Camminarono altri 4 mila km fino a Tijuana, sul confine settentrionale del Messico, dove alcuni si trovano ancora in attesa di ricevere risposta alla richiesta di asilo negli Stati Uniti, mentre altri hanno attraversato la frontiera illegalmente.

Andrés Manuel López Obrador divenne presidente del Messico pochi mesi dopo il passaggio della carovana, e dichiarò di voler intraprendere una politica di “porte aperte” nei confronti dei migranti, che nei fatti ha solo portato alla concessione di circa 15 mila permessi di residenza per motivi umanitari.

Alla prima, seguirono poi una decina di altre carovane. Le cose per i migranti peggiorarono dal maggio 2019, quando durante le negoziazioni per il nuovo trattato di libero commercio tra Stati Uniti, Messico e Canada (USMCA), Donald Trump minacciò il Messico di aumentare i dazi alle sue importazioni del 5% se non avesse fermato i flussi migratori. La risposta di López Obrador fu aumentare le espulsioni di centroamericani del 63% e inviare circa 6 mila elementi della Guardia Nazionale sul confine meridionale messicano per fermare i tentativi di entrata dei centroamericani, che viaggiassero soli o in carovana.

“Come l’Europa, anche gli Stati Uniti esternalizzano le loro frontiere, che è come se si muovessero sempre più a sud”, dice Rita Marcela Robles della ong messicana Fray Matías de Cordova. “Nel caso di quest’ultima carovana, Trump ha fatto pressioni sul governo del guatemalteco, che ha una forte dipendenza economica dagli Stati Uniti”.

Il muro di Trump è sceso fino in Guatemala. Quella di inizio ottobre è stata la prima carovana bloccata dal governo centroamericano, che ha utilizzato le misure sanitarie di prevenzione al Covid19 come pretesto per eludere il trattato di libera circolazione in vigore con l’Honduras. Secondo le autorità guatemalteche, dei circa 4 mila migranti honduregni che sono entrati nel paese, 3,953 sono “ritornati volontariamente”. “Non è il momento di migrare. State a casa, la pandemia non è finita”, ha affermato Mario Adolfo Bucaro Flores, ambasciatore guatemalteco in Messico.

La Guardia Nacional sulle sponde del fiume Suchiate, che divide il Messico dal Guatemala, in attesa dell’arrivo della Carovana Migrante. Foto: Orsetta Bellani

“Noi siamo la testa della carovana, dietro ci sono migliaia di altre persone”, dice Maria Lucila Cruz mentre guarda il figlio Joshua giocare con altri bambini, davanti alla Casa del Migrante di Tecún Umán. Non sa che la maggior parte dei migranti che facevano parte della coda della carovana sono già stati espulsi. Mentre ora anche lei si trova accerchiata dalla polizia e dall’esercito.

Accanto a lei un’altra ragazza cammina nervosamente in circolo, dondolando fra le braccia un bambino che non avrà più di un anno. “Chi non migra non sa cosa vuol dire”, dice nascosta da una mascherina. Si chiama Maria Rodríguez Nuñez, è cubana e del migrare è un’esperta: sono due anni che sta viaggiando. Da Cuba è andata in Guyana, in aereo insieme al suo primo figlio, e da lì ha attraversato più di 10 mila kilometri in autobus: Brasile, Perù e Colombia. Si è poi addentrata nella giungla del Darién, uno delle rotte migratorie più pericolose ed inospitali del mondo, e ha raggiunto Panama, dove in una struttura per migranti ha partorito un altro figlio. È rimasta lì qualche mese e ha quindi proseguito il suo viaggio verso nord con i due bambini. Quando si trovava vicino alla frontiera tra Honduras e Guatemala, ha scoperto che stava per arrivare una carovana di migranti. Ed è qui che ha conosciuto Maria Lucila.

Qui a Tecún Umán le due donne dovranni separarsi. Stremata dalla pressione congiunta di polizia ed esercito, dall’acquazzone tropicale che ha trasformato in fiumi le strade del paese, Maria Lucila salirà con suo figlio Joshua sull’autobus del “ritorno volontario”. Senza una carovana che li accompagni, senza soldi per pagare un pollero, con le strutture di ricezione dei migranti chiuse a causa della pandemia e il governo messicano che minaccia di incarcerarli per non rispettare le misure di prevenzione al Covid19, cercare di attraversare il Messico le sembra troppo rischioso.

Una delle zattere che giorno e notte fanno la spola tra le rive del Suchiate, fiume che divide il Guatemala dal Messico. Trasportano beni di ogni tipo e vengono utilizzate dai migranti per attraversare la frontiera. Foto: Orsetta Bellani

Maria Rodríguez Nuñez, invece, non salirà su quell’autobus. Dopo due anni e migliaia di kilometri percorsi non abbandonerà il suo viaggio proprio adesso. Ore più tardi, approfittando dell’oscurità, scenderà con i suoi figli fino al fiume Suchiate e salirà su una delle zattere che fanno la spola tra le due sponde. Pagherà poco più di un euro per toccare terra in Messico e da lì camminerà verso nord, tentando di sfuggire ai droni che sorvolano la rotta dei migranti e alla Guardia Nazionale, nella speranza di poter percorrere migliaia di kilometri e raggiungere il deserto statunitense, dove pregherà magari che l’America che sarà uscita dalle ultime elezioni sia più generosa i quella di ieri. Cercherà di diventare invisibile, come prima di unirsi alla carovana.

Articolo pubblicato da Il Venerdì di Repubblica il 13.11.2020.

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