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La Coca Cola si beve il Chiapas

Il j’iloletic, sacerdote indigeno, osserva la fiamma che consuma le candele sul pavimento. Prega sottovoce in maya tsotsil, inginocchiato sugli aghi di pino che coprono come un tappeto la chiesa senza panche.

Sull’altare, davanti alle file di lumi, ci sono un bicchierino con un liquore locale chiamato pox, che soffierà per confondere il demonio, e due bottiglie di Coca Cola. Sono lì per essere condivise con le divinità celestiali, che si nutrono dell’odore dolce della bibita e del calore dell’incenso, che addensa e profuma l’aria della chiesa. Appena la cerimonia finisce, il j’iloletic stappa la Coca Cola, la beve e la passa alle persone attorno a lui. Un sorso spetterà anche a un neonato di pochi mesi.

Siamo nel paese di San Juan Chamula, cuore degli Altos de Chiapas, nel Messico meridionale, la regione in cui si beve più Coca Cola del mondo: 2,25 litri al giorno per persona contro una media mondiale di 0,07 litri. È come ingerire quotidianamente quasi 50 cucchiaini di zucchero.

Un record che costa caro, soprattutto in tempo di pandemia: i­l 60% della popolazione del Chiapas è obesa e il diabete è la terza causa di morte. È anche per questo che in Messico il tasso letalità del covid19 è intorno al 10%, circa il doppio della media mondiale.

La fabbrica dei politici

Da secoli gli indigeni maya tsotsiles che popolano questa regione lottano contro il colonialismo e in difesa della propria cultura. Hanno mantenuto la loro lingua, le loro tradizioni e i vestiti tradizionali, ma alla Coca Cola non hanno saputo resistere.

Le bibite sono arrivate negli Altos de Chiapas negli anni ’30 quando, preoccupati per l’alcolismo dilagante, le autorità locali hanno deciso di sostituirle al pox nei rituali religiosi. La Coca Cola ha preso il sopravvento sulle altre marche poco a poco. È stato grazie ad una campagna pubblicitaria aggressiva, che ha riempito le strade di cartelli in lingua indigena, associando il prodotto ad elementi importanti nella cultura dei popoli originari, come il bastone di comando.

È stato anche a causa del rapporto privilegiato che la corporazione di Atlanta ha con il mondo politico messicano: senatori e deputati sono passati dal Congresso agli uffici della Coca Cola e vice versa, e ai vertici della transnazionale ha lavorato l’ex presidente messicano Vicente Fox, la cui campagna elettorale è stata finanziata proprio da Coca Cola. La generosità della corporazione è stata ricompensata con 7 concessioni d’uso d’acqua nei primi 2 anni del suo governo. 

Un altro ex capo di Stato, Enrique Peña Nieto, ha affermato pubblicamente che la beve tutti i giorni e quello in carica, Andrés Manuel López Obrador, ha dichiarato di voler creare una rete di distribuzione di medicine che raggiunga anche i paesi più isolati, come solo la Coca Cola riesce a fare.

Merce di scambio

Viaggiando per gli Altos de Chiapas, una regione in cui l’88% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, la Coca Cola si trova ovunque. Tra le strade tortuose che si arrampicano su montagne a più di 2 mila metri sul livello del mare, circondate da campi di mais, boschi e paesaggi mozzafiato, ad ogni angolo appaiono negozietti in cui si vendono beni di prima necessità: riso, sapone, carta igienica e Coca Cola. Anche nei posti più sperduti, fuori dalle umili case costruite con legno e tetti di lamiera, spuntano cartelli che pubblicizzano la bibita e grandi frigoriferi di un rosso accecante.

“Non c’è nessun controllo da parte dello Stato sulla vendita della Coca Cola. Spesso questo tipo di punto vendita è gestito da famiglie che hanno un problema di dipendenza dalla bibita, causato dalla presenza di grandi quantità di zucchero e caffeina”, afferma il dottor Marcos Arana Cedeño, direttore del Centro de Capacitación en Ecología y Salud para Campesinos (Centro di Formazione in Ecologia e Salute per Contadini). “Guadagnano molto poco, ma hanno il vantaggio di avere il prodotto a loro disposizione quando vogliono. È come con la vendita di droga: le persone dipendenti diventano piccoli spacciatori”.

In alcuni paesi della regione, la Coca Cola è molto più che una bibita. A San Juan Chamula, che ha un’apparenza tranquilla ma secondo l’intelligence messicana è sede dell’organizzazione criminale che gestisce i traffici illeciti della zona, la tradizione prevede che i giovani regalino denaro e varie casse di Coca Cola ai genitori della propria amata per chiederne la mano.

“Nel momento in cui la bibita ha iniziato ad essere condivisa con le divinità celestiali durante i rituali ha acquisito uno status importante fra la popolazione, e si è convertita in un bene di lusso”, spiega l’antropologo Jaime Tomás Page Pliego.

A San Juan Chamula la Coca Cola è così diventata merce di scambio nell’acquisto di pecore e donne, e può essere utilizzata per pagare una multa o un’offesa, anche una violenza sessuale. La bibita è protagonista assoluta di matrimoni, battesimi e feste patronali, e se durante un comizio politico un candidato distribuisce Pepsi invece che Coca Cola è considerato poco affidabile, perché non sta offrendo il meglio.

Alle falde del vulcano

La Coca Cola che si beve negli Altos de Chiapas è a chilometro zero. Viene prodotta nella città di San Cristóbal de Las Casas dal 1995, poco dopo l’entrata in vigore del trattato di libero commercio tra Messico, Stati Uniti e Canada (NAFTA). Un accordo che ha tolto dei paletti all’entrata dei capitali stranieri, rendendo più blanda la normativa ambientale e quella relativa ai diritti dei lavoratori.  Sono arrivati tutti insieme: il trattato di libero commercio, la fabbrica di Coca Cola, l’epidemia di obesità e quella di diabete.

“Le bibite sono accusate di essere responsabili dell’obesità e del diabete in Messico. Questo è falso”, risponde Coca Cola alle accuse che piovono da più parti, anche dal Ministero della Sanità messicano che recentemente ha sottolineato la necessità di un’alimentazione sana per prevenire il nuovo coronavirus, e ha definito la bibita “veleno imbottigliato”.

L’arrivo della fabbrica di Coca Cola non ha solo peggiorato la salute della popolazione degli Altos de Chiapas. Ogni giorno, la corporazione succhia dalle falde del vulcano Huitepec 1,3 milioni di litri di acqua, che corrispondono al fabbisogno quotidiano di 13 mila persone. La transnazionale paga allo Stato solo 10 centesimi di euro ogni mille litri di liquido che estrae; un’acqua che, secondo la Coca Cola, ha la composizione chimica perfetta per garantire il suo sapore inconfondibile.

Non sono molti gli abitanti di San Cristóbal de Las Casas che vedono di buon occhio la presenza della fabbrica. Organizzazioni e comitati locali, sostenuti dal Comune, l’accusano di essere responsabile della penuria di acqua e hanno finora raccolto quasi 27 mila firme per chiedere che le venga revocata la concessione. “Il 30% della popolazione di San Cristóbal de Las Casas ha problemi di accesso all’acqua, e nel futuro la situazione potrebbe peggiorare”, afferma Jesús Carmona, direttore di SAPAM, entità che distribuisce il liquido in città.

La città chiapaneca cresce a vista d’occhio e ha sempre più sete. In molte case l’acqua corrente arriva solo un paio di giorni alla settimana e la gente s’arrangia come può: durante la stagione delle piogge mette dei secchi davanti alla porta di casa, e compra acqua in bottiglia. È un’abitudine comune in Messico, che è il paese al mondo in cui si consuma più acqua imbottigliata; un mercato in cui, neanche a dirlo, è leader Coca Cola. 

Articolo pubblicato da Il Venerdì di Repubblica il 25.09.2020.

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