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Messico & Donald Trump, la faccia cattiva dell’America

All’annuncio dell’incontro tra Donald Trump e il presidente messicano Enrique Peña Nieto, gli utenti delle reti sociali si sono scatenati. “Montezuma invitò a pranzo Hernán Cortés e andò molto bene. È quello che hanno detto a Peña i suoi consiglieri”, dice uno dei post più condivisi e che ricorda quando, nel XVI secolo, l’imperatore azteca accolse a braccia aperte il conquistador che poi sterminò il suo popolo.

Trump è arrivato a Città del Messico a seguito di un invito che Peña ha rivolto ai due candidati presidenziali statunitensi, a cui ha chiesto di parlare in modo “franco e aperto” delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Relazioni che con Trump non possono che essere tese, dopo le dichiarazioni in cui ha definito i messicani come criminali, narcotrafficanti e violentatori, dopo aver velatamente minacciato di fare guerra al Messico se non pagherà la costruzione di un muro tra i due paesi, e aver promesso di espellere gli 11 milioni di migranti irregolari presenti in territorio statunitense.

Secondo molti analisti, l’avvicinamento di Trump al Messico e la maggiore “morbidezza” dimostrata ultimamente sul tema migratorio sono finalizzati a guadagnarsi il voto ispano, e uscire così dal tunnel del calo di consensi in cui il candidato repubblicano sembra essere caduto. “Trump iniziò con dichiarazioni molto offensive, che provocarono forti reazioni nella società messicana e in quella statunitense”, afferma in intervista Laura Carlsen, analista del Center of International Policy. “Immagino che poi i suoi consiglieri gli abbiano detto che è impossibile vincere senza il voto latino”.

Sul motivo che ha spinto Peña ad invitare Trump a Città del Messico c’è invece confusione. In che modo la visita di Trump può beneficiare il paese? Perché Peña si riunisce con un candidato, quando normalmente i presidenti si riuniscono con i loro omologhi?

“Crediamo nel dialogo per promuovere gli interessi del Messico nel mondo e, soprattutto, per proteggere gli interessi dei messicani in qualsiasi posto si trovino”, ha comunicato il governo tramite Twitter. Ma la sua decisione è stata contestata dai politici in Senato, dai giornalisti e dagli intellettuali. “Quello che ha fatto il Capo di Stato non è una scemenza, è un’aberrazione e un insulto al paese”, ha affermato la scrittrice Ángeles Mastretta. Sembra che, per una volta, tutti siano d’accordo nel criticare l’operato di Peña Nieto.

Neanche il canale Televisa -che secondo un’inchiesta di The Guardian nel 2012 venne pagato dall’allora quasi sconosciuto Peña per trasformarlo in presidente – ha visto di buon occhio l’invito a Trump.

“I tiranni non si ammansiscono, i tiranni si affrontano. La dignità e il coraggio sono la miglior forma di affrontare un tiranno”, ha affermato dagli schermi di Televisa Enrique Krauze, un intellettuale che molti considerano conservatore. “La decisione di Peña è un errore storico. Il minimo che ci si dovrebbe aspettare è che Trump offra pubblicamente le sue scuse per gli insulti contro i messicani”.

Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 1.09.2016.

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