Skip to content

A sei anni dalla sparizione degli studenti di Ayotzinapa, in Messico, la verità è ancora lontana

Il 26 settembre è il sesto anniversario della sparizione forzata dei 43 studenti nello Stato di Guerrero. Inchieste indipendenti smontano la “verità” ufficiale che ha coperto l’esercito. La testimonianza di alcuni genitori e di un giovane sopravvissuto all’attacco.

Due grammi sono il peso di un pizzico di sale, di una nocciolina o di una spilla da balia. Per i genitori di Christian Alfonso Rodríguez Telumbre, studente di Ayotzinapa, due grammi sono il peso di quello che, secondo le autorità, è rimasto di loro figlio: un frammento dell’osso del suo piede destro, trovato nel novembre 2019 nel burrone La Carniceria, a Cocula, nello Stato di Guerrero, in Messico. I familiari di Christian credono ai risultati dell’esame del DNA del laboratorio forense dell’Università di Innsbruck, che sono stati loro comunicati all’inizio di luglio, ma non pensano che rappresentino una prova della morte del ragazzo: una persona può vivere senza un piede, dicono, Christian potrebbe essere ancora vivo.

“Non accetterò così facilmente la morte di mio figlio e continuerò a cercarlo”, afferma suo padre Clemente Rodríguez dall’altro capo del telefono, nella sua casa di Tixtla, a pochi chilometri dalla scuola magistrale di Ayotzinapa. Si sta preparando per viaggiare con sua moglie Luz María Telumbre e gli altri genitori dei 43 giovani scomparsi a Città del Messico, dove sabato 26 settembre manifesteranno in occasione del sesto anniversario del crimine. Lo fanno ogni mese da quel 26 settembre 2014, quando i ragazzi sono stati attaccati con armi da fuoco mentre attraversavano in autobus la città di Iguala, nello Stato di Guerrero. Sei morti, più di 80 feriti e 43 studenti spariti. Un ossicino così piccolo da polverizzarsi durante le analisi del DNA, può essere sufficiente per considerare morto il proprio figlio? Com’è arrivato il frammento del piede di Christian al burrone La Carniceria? Dove sono i 43 studenti di Ayoztinapa? Domande a cui gli inquirenti cercano di rispondere malgrado, dopo tanti anni dal crimine e gli innumerevoli depistaggi ed inquinamenti di prove, sia sempre più difficile arrivare alla verità.

Nel momento in cui è entrato in carica, nel dicembre 2018, il presidente Andrés Manuel López Obrador ha istituito una Commissione della verità e un’unità speciale della Procura per indagare sui fatti. “Entrambe le istituzioni stanno lavorando bene, ma sono lente. Esiste la volontà politica di fare luce sul caso, ma bisognerebbe destinare più fondi perché si traduca in un’efficace capacità di azione”, afferma Omar García, ex studente di Ayoztinapa sopravvissuto all’attacco del 26 settembre 2014. Una volontà politica in un certo senso imposta dai riflettori delle Nazioni Unite e dei media internazionali, da anni puntati sulla vicenda. “La logica di questo governo è risolvere alcuni casi emblematici: si sta concentrando su Ayotzinapa, sul massacro della famiglia mormona LeBarón, su alcuni celebri casi di corruzione; ma non fa nulla per contrastare in modo sistemico il fenomeno della violenza e le violazioni ai diritti umani, che in Messico sono sistematiche”, afferma Jacobo Dayán, esperto in diritto dell’Università Iberoamericana.

La risposta di López Obrador è comunque un passo avanti rispetto a quella dell’ex presidente. Durante il governo Peña Nieto, infatti, la Procura ha fabbricato una menzogna chiamata poi “verità storica”. Secondo l’ex Procuratore Generale Jesús Murillo Karam, oggi indagato, gli studenti sarebbero stati attaccati mentre viaggiavano in autobus dalla Polizia Municipale, che li avrebbe consegnati al gruppo criminale Guerreros Unidos. Questi li avrebbe bruciati nella discarica del paese di Cocula e buttato i loro resti nel vicino fiume San Juan. Il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) -nominato dalla Commissione interamericana di diritti umani (Cidh) per condurre un’inchiesta indipendente con l’aiuto del prestigioso Equipo argentino de antropología forense (Eaaf)- ha dimostrato invece che è scientificamente impossibile che nella discarica di Cocula siano stati bruciati 43 cadaveri, ed ha affermato che la ricostruzione della Procura Generale è piena di “irregolarità, contraddizioni e gravi omissioni”. Secondo il GIEI, nelle due scene del crimine erano presenti agenti della polizia municipale, statale, federale e l’esercito. Potrebbero aver agito per recuperare un carico di eroina nascosto in uno degli autobus, a insaputa degli studenti; un’ipotesi che si basa sulle dichiarazioni di Pablo Cuevas Vegas, membro dei Guerreros Unidos che, durante un processo negli Stati Uniti, ha dichiarato che la sua organizzazione trafficava droga da Iguala a Chicago, utilizzando degli autobus. Cinquantasei detenuti sono stati torturati affinché confermassero la “verità storica” della Procura generale, che non contemplava la partecipazione di polizia federale e militari, esimendo lo Stato da ogni responsabilità. Sono 61 i funzionari pubblici indagati per quelle torture e per gli insabbiamenti. Tra loro Tomás Zerón, ex direttore dell’Agenzia di indagine criminale e oggi latitante in Israele, accusato di fabbricazione di prove false: il funzionario è apparso in un video mentre camminava con un membro dei Guerreros Unidos sulle rive del fiume San Juan, proprio il giorno prima del ritrovamente, in quel luogo, di una borsa contenente i resti dell’unico altro studente identificato finora, Alexander Mora Venancio.

L’ossicino di Christian Alfonso Rodríguez Telumbre è stato trovato a più di 800 metri dalla discarica di Cocula. “È un fatto molto importante che cambia la narrazione imposta negli anni scorsi dalla Procura, la cosiddetta ‘verità storica’, perché è in un luogo completamente diverso da quello che questa aveva presentato come punto finale di arrivo degli studenti”, afferma María Luisa Aguilar Rodríguez del Centro di diritti umani Miguel Agustín Pro Juárez (Prodh), organizzazione che accompagna i familiari dei 43 studenti spariti. Il caso Ayotzinapa è pieno di contraddizioni, punti oscuri, dolore. Tanto che ha rappresentato un punto di svolta nella storia del conflitto messicano, iniziato nel dicembre del 2006, quando l’ex presidente Felipe Calderón ha militarizzato il Paese con il pretesto di combattere le organizzazioni criminali, causando una crisi umanitaria.

La sparizione degli studenti scosse così tanto la popolazione messicana che nei mesi successivi a quel 26 settembre 2014, ogni giorno scendeva in strada per chiedere che venisse chiarito il caso. Ed è a partire da quella data che i familiari delle migliaia di persone sparite di tutto il Paese hanno iniziato ad organizzarsi per cercare i propri cari, esigendo verità e giustizia. Perché i giovani desaparecidos in Messico non sono 43, ma più di 73 mila.

Articolo pubblicato da Altreconomia il 25.09.2020

Torna su