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Papa Francesco agli indigeni: “vi chiedo perdono”

Quando ha scoperto che Papa Francesco avrebbe officiato una messa con i popoli originari a San Cristóbal de Las Casas, nel meridionale stato del Chiapas, Julian López Canare si è stupito. “Per la prima volta un Pontefice gira lo sguardo verso i popoli nativi, verso i più poveri”, osserva l’indigeno di etnia nayeri.

In una città totalmente militarizzata, ieri Papa Francesco ha parlato ai popoli indigeni che rappresentano l’80% della popolazione di questa diocesi, celebre per il razzismo dei pochi privilegiati. “I popoli originari sono stati incompresi ed esclusi dalla società”, ha osservato durante una funzione che in buona parte è stata officiata in lingua indigena. Nello stato meno cattolico del Messico, il Pontefice ha ricordato che molte comunità originarie sono state private della loro terra a causa delle leggi del mercato, e ha invitato a chiedere loro perdono. Al termine della funzione, ha consegnato un decreto che autorizza formalmente la celebrazione di cerimonie liturgiche in lingua indigena.

Bergoglio ha poi visitato la cattedrale della città per pregare di fronte alla tomba dell’ex vescovo della città Don Samuel Ruiz. Un gesto storico se si considera che l’uomo non era ben visto da buona parte della gerarchia ecclesiastica, che lo considerava un “sovversivo” a causa della sua predicazione nei villaggi maya, che involontariamente ha messo le basi alla nascita e insurrezione della guerriglia indigena dell’EZLN.

“È un importante riconoscimento del lavoro di Don Samuel. Il messaggio è che i vescovi non sono principi ma devono sporcarsi le mani, camminare con il popolo”, afferma in intervista Jorge Hernández dell’organizzazione per i diritti umani Frayba, fondata dallo stesso vescovo.

Il Messico è una terra strategica per il Vaticano. Rappresenta il nono paese al mondo per quantità di denaro che apporta alle sue casse ed è il secondo per numero di cattolici. Novantasei milioni di persone, l’82% della popolazione, continuano a dichiararsi cattoliche, ma anche qui negli ultimi anni la Chiesa è stata abbandonata da un gran numero di fedeli.

Il cattolicesimo messicano è, ad ogni modo, diverso da quello romano. “Qui si è mescolato con le pratiche culturali dei popoli indigeni. I santi cattolici si sono combinati con gli dei preispanici e sono nate nuove figure”, spiega Yaredh Marín Vazquéz, antropologa della Escuela Nacional de Antropología e Historia (ENAH). “Ad esempio la Vergine di Guadalupe, che il Papa ha pregato a Città del Messico, è una fusione tra la Madonna e la dea della terra. In questo modo gli indigeni adorano la loro dea mentre pregano la Vergine”.

Il viaggio di Papa Francesco è iniziato sabato a Città del Messico, dove si è schierato contro la corruzione e il narcotraffico, ma è stato criticato per non aver voluto incontrare i genitori dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa. Il Pontefice si è poi spostato nelle periferie del paese: Ecatepec, città che riunisce tutti i mali messicani, San Cristóbal de Las Casas e poi Morelia, capitale del Michoacán, il primo stato in cui il governo ha lanciato la “guerra al narcotraffico” che ha causato più di 160mila morti in meno di dieci anni. La visita del Pontefice si concluderà a Ciudad Juarez, città desertica che osserva migliaia di migranti oltrepassare la frontiera con gli Stati Uniti, nota per lo spaventoso numero di femminicidi. Mercoledì il Papa lascerà questo paese ferito e stanco, che non si illude che la visita pastorale possa cambiare la sua difficile situazione.

Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 16.02.2016.

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