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La marcia degli zapatisti contro il crimine di stato

Il temporale non è arrivato, malgrado in questa stagione piova quasi sempre nel pomeriggio. Mercoledì scorso migliaia di zapatisti si sono riuniti nella periferia di San Cristóbal de Las Casas (Chiapas, Messico), sistemandosi ordinatamente in lunghe file indiane, sotto il cielo azzurro a tratti macchiato da nuvole grigie. Hanno marciato stretti, attraversando in silenzio e a passo svelto le vie del centro, mostrando cartelli che dicevano “il vostro dolore è il nostro dolore”, “la vostra rabbia è nostra”, “non siete soli”. 

Il messaggio era per gli studenti di Ayotzinapa, un paese nello stato messicano di Guerrero, e per le loro famiglie. La notte del 26 settembre scorso, di ritorno da un’iniziativa organizzata nella vicina cittadina di Iguala, i ragazzi di Ayotzinapa hanno occupato tre autobus per ritornare a casa. Sono stati fer­mati dalla Poli­zia muni­ci­pale che ha spa­rato con­tro di loro. Poi, men­tre gli stu­denti improv­vi­sa­vano una con­fe­renza stampa nel luogo dell’agguato, è arri­vato un gruppo di sicari che ha spa­rato nuo­va­mente sugli stu­denti, con le stesse armi che ha in dota­zione la poli­zia locale.

Sono state ferite 17 per­sone e sei sono rima­ste uccise, tra cui il gio­vane Julio César Mon­dra­gón, a cui sono stati aspor­tati gli occhi e la pelle dal viso ed è rima­sto solo il cra­nio rico­perto di san­gue. «Final­mente è stato fatto ordine», ha tito­lato il giorno dopo il quo­ti­diano Dia­rio de Guer­rero.

A due set­ti­mane di distanza, 43 stu­denti che si tro­va­vano su que­gli auto­bus risul­tano desa­pa­re­ci­dos, spa­riti nel nulla. È stata rin­ve­nuta una fossa comune con 28 corpi che si teme siano loro, ma biso­gna aspet­tare almeno una set­ti­mana per­ché gli esami dicano qual­cosa. Pochi giorni fa, due uomini legati al car­tello del nar­co­traf­fico Guer­re­ros Uni­dos hanno con­fes­sato che quella notte la Poli­zia Muni­ci­pale ha con­se­gnato loro 17 ragazzi, che sono stati giu­sti­ziati, bru­ciati e sep­pel­liti in una fossa comune. Degli altri 26 desa­pa­re­ci­dos ancora non si sa nulla. E gio­vedì, dopo l’arresto di quat­tro nuovi sospetti, in una mon­ta­gna vicino a Iguala sono state sco­perte altre quat­tro fosse comuni, con­te­nenti cada­veri inceneriti.

Il 6 otto­bre la cri­mi­na­lità orga­niz­zata locale aveva minac­ciato che, se entro 24 ore non sareb­bero stati rila­sciati 22 poli­ziotti arre­stati a seguito dell’operazione, avrebbe fatto i nomi di tutti i poli­tici col­lusi con il nar­co­traf­fico. Intanto si è dato alla fuga il sin­daco di Iguala; secondo la Pro­cura Gene­rale della Repub­blica il poli­tico è vicino alle orga­niz­za­zioni cri­mi­nali dal 2009, e si sospetta sia l’autore intel­let­tuale dell’operativo.
La con­ni­venza tra car­telli del nar­co­traf­fico, poli­tica e poli­zia in Mes­sico è cosa nota, ma nel caso di Ayo­tzi­napa assume una sfac­cia­tag­gine e una cru­dezza ine­dite. Il pre­si­dente Enri­que Peña Nieto ha assi­cu­rato che ver­ranno chia­rite le cir­co­stanze dei fatti che ha defi­nito «indi­gnanti, dolo­rosi e inac­cet­ta­bili», mal­grado sulla vicenda si aggiri il fan­ta­sma dell’impunità, che in Mes­sico si stende come un man­tello sulle azioni di eser­cito e polizia.

I geni­tori dei ragazzi –che non hanno rice­vuto nes­sun appog­gio psi­co­lo­gico o eco­no­mico da parte del governo– affer­mano che i loro figli sono stati uccisi dallo stato, non dal nar­co­traf­fico. Gli isti­tuti magi­strali in Mes­sico ven­gono chia­mati nor­ma­les e sono luo­ghi che ospi­tano gio­vani molto attivi poli­ti­ca­mente. Il governo li con­si­dera un «nido di comu­ni­sti», e ha spesso represso le ini­zia­tive di pro­te­sta dei nor­ma­li­stas, cau­sando anche dei morti. In par­ti­co­lare la scuola rurale di Ayo­tzi­napa era nota per il radi­ca­li­smo poli­tico dei suoi studenti.

«Imma­gi­nati se fos­sero stati figli tuoi», si leg­geva nei car­telli dei mani­fe­stanti che mer­co­ledì scorso si sono mobi­li­tati in 64 città del mondo, in soli­da­rietà con i ragazzi di Ayo­tzi­napa. A San Cri­stó­bal de Las Casas hanno mar­ciato migliaia di stu­denti, inse­gnanti, fami­glie intere. «Quello che è suc­cesso è un cri­mine di stato. Non si tratta di un gruppo di poli­ziotti col­lusi con il narco, è un sistema intero», denun­cia un mani­fe­stante che ha pre­fe­rito rima­nere ano­nimo. «Davanti a que­sto orrore il minimo che pos­siamo fare è scen­dere in strada a mani­fe­stare, invece di rima­nere para­liz­zati dalla paura. Spa­ven­tarci è pro­prio quello che il governo vuole otte­nere con que­sta aggressione».

L’Ezln ha sfi­lato in un cor­teo a parte, per mostrare ancora una volta soli­da­rietà alle vit­time di uno stato che sem­bra essere una delle peg­giori minacce alla sicu­rezza dei cit­ta­dini. L’ultima volta era stato nel mag­gio 2011 quando, rispon­dendo all’appello del Movi­miento por la Paz con Justi­cia y Digni­dad, mar­ciò a San Cri­stó­bal de Las Casas con­tro la guerra ai car­telli cri­mi­nali pro­mossa dall’ex pre­si­dente Felipe Cal­de­rón. La cro­ciata anti­nar­co­traf­fico del governo mes­si­cano, più che dimi­nuire il peso del cri­mine orga­niz­zato nel paese, ha cau­sato circa 100mila morti e 30mila desa­pa­re­ci­dos.

Come nel 2011, gli zapa­ti­sti hanno cam­mi­nato per la città con il nastro a lutto legato al brac­cio e in un pro­fondo silen­zio, che lasciava sen­tire solo il rumore dei loro passi. La mag­gior parte dei mani­fe­stanti con i volti coperti dai pas­sa­mon­ta­gna erano gio­vani, come gli stu­denti di Ayo­tzi­napa. La gente di San Cri­stó­bal de Las Casas – una città sto­ri­ca­mente con­ser­va­trice e chiusa — si affac­ciava dai negozi, dagli alber­ghi e dai risto­ranti del cen­tro per guar­dare il lungo cor­teo di indi­geni incap­puc­ciati. Nes­suno par­lava, pochi bisbi­glia­vano a voce bassa. Una signora bat­teva le mani gri­dando «viva la gente!», e gli occhi di alcuni zapa­ti­sti le sor­ri­de­vano die­tro il passamontagna.

Articolo pubblicato dal Manifesto il 10.10.2014

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