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La Bestia: il viaggio dei migranti centroamericani verso gli Stati Uniti

La città di Arriaga, nel sud del Messico, vicino al confine con il Guatemala, è una tappa obbligata per i centroamericani che migrano senza documenti verso gli Stati Uniti. Da qui parte il treno merci – chiamato la Bestia – che ogni anno trasporta circa 250mila persone. I migranti arrivano ad Arriaga viaggiando a singhiozzo in autobus: scendono prima dei posti di blocco della polizia e ci girano intorno, camminando chilometri sotto il sole cocente de La Arrocera. Poi tornano sulla strada ad aspettare l’autobus, fino al seguente posto di blocco. In questi tratti di terra desolata si nascondono bande locali che derubano, violentano le donne ed uccidono chi si ribella. “Se dovessi individuare il punto del tragitto dei migranti dove un centroamericano è meno protetto, dove possono fargli quello che vogliono, dove nessuno ascolta le sue grida, direi La Arrocera”, scrive il giornalista salvadoregno Óscar Martínez in “Los migrantes que no importan”.

Chi se lo può permettere paga un pollero, la versione oltreoceano dello scafista, perché lo accompagni fino al sogno americano. “Da Arriaga agli USA chiedono 90mila pesos (più di 5mila euro), una parte va in bustarelle alla polizia”, denuncia Bartolo Solis, coordinatore regionale dell’associazione Promigrante. “Per migliorare la situazione bisognerebbe eliminare il visto per i centroamericani, perché possano transitare liberamente in Messico. Così non sarebbero facili vittime di sequestri ed estorsioni”. Durante il viaggio in treno, i migranti sono prede dei cartelli del narcotraffico, in particolare de Los Zetas, che li sequestrano per chiedere un riscatto ai parenti o li obbligano ad entrare nelle loro fila. La connivenza delle autorità messicane nel sequestro di 20mila centroamericani l’anno, e nel 9% dei casi la loro collaborazione, è denunciata da varie entità, tra cui la governativa Comisión Nacional de Derechos Humanos.

Il Cuaderno sobre secuestro de migrantes del Centro di Derechos Humanos Pro Juárez e della Casa del Migrante di Saltillo, raccoglie la testimonizia di Nancy, una giovane salvadoregna che racconta di due centroamericane che, quando denunciarono i loro sequestratori alla polizia, questa le rivendette a Los Zetas, che le uccisero. Non sono in molti in Messico ad occuparsi dei centroamericani senza documenti: alcuni centri per i diritti umani o strutture fondate da religiosi. Ad Arriaga possono dormire nella Casa del Migrante di padre Heyman Vazquez: “Qui trovano vestiti, un letto, cure e supporto morale. Regaliamo anche una “mappa dei rischi”, una guida che elenca i pericoli del viaggio”. Alcuni migranti preferiscono passare la notte tra le tombe del cimitero, altri dormono lungo i binari del treno.

Ho incontrato Franklin, un honduregno di ventinove anni, mentre camminava fra i vagoni con le stampelle. Gli incidenti durante il viaggio in treno sono molto frequenti: i migranti viaggiano sul tetto da cui possono facilmente cadere, o s’infortunano nel tentativo di salire sul convoglio in movimento. A Franklin si è maciullato il piede nell’intersezione tra due vagoni, e ha sanguinato dodici ore prima che il treno si fermasse. “Sono già stato ad Arriaga, qui ho conosciuto una ragazza che è rimasta incinta. Mi sono infortunato mentre viaggiavo verso nord, ora sono tornato ma non vuole che veda mia figlia. Vado a Città del Messico a cercare lavoro, almeno le posso mandare dei soldi”, racconta Franklin. Gli chiedo come pensa di poter affrontare il viaggio con il piede in quelle condizioni. “Dio mi aiuterà”, risponde. Dio e gli Stati Uniti sono sulla bocca di tutti, mentre i ricordi, più che di un passato di povertà, parlano di violenza.

Ana ha ventisei anni e viene dal Salvador, viaggia con il marito e il figlio di quattro anni. “Là è molto difficile, le maras (bande giovanili) ti chiedono sempre soldi – racconta Ana –. Se vogliono che lavori con loro e non ci stai, ti uccidono. Poco tempo fa hanno ucciso tre bambini perché andavano a scuola in un quartiere controllato da un’altra mara. Non voglio che mio figlio cresca così, voglio che studi”.

Reportage pubblicato su Fai Notizia il 16.05.2012.

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